Sølve Sundsbø e l’evoluzione del Calendario Pirelli secondo Tommaso Pincio

L’immagine è un’idea, non un racconto

Sølve Sundsbø e l’evoluzione del Calendario Pirelli secondo Tommaso Pincio

Cosa ne pensa di questa edizione del Calendario Pirelli?

È in linea con i tempi o, per meglio dire, questo nuovo Calendario fotografa – mi passi il gioco di parole – la fase che stiamo attraversando in due dei suoi tratti più distintivi e urgenti: il bisogno di reinventare il concetto di natura e la necessità di ripensare il nostro rapporto con l’ambiente. Il famoso binomio innovazione e tradizione è cosa buona e giusta, ma bisogna evitare di farne un semplice slogan che risuoni a vuoto, andare cioè al fondo di certe questioni. Per esempio, renderci conto che la natura in sé e la nostra idea di natura non sono affatto la stessa cosa e che nessuna delle due è entità immutabile. Anche se facciamo fatica a comprenderlo, la natura che aveva in mente Lucrezio non era la stessa natura cui pensavano Caravaggio e in seguito i pittori impressionisti, e ancora più diversa è l’idea che ne abbiamo oggi.

Dobbiamo comprendere che le idee non sono qualcosa di astratto, ma il motore delle nostre azioni. Facciamo certe scelte perché abbiamo certe idee.

“Renderci conto che la natura in sé e la nostra idea di natura non sono affatto la stessa cosa e che nessuna delle due è entità immutabile.”

Se le idee non sono chiare, nemmeno le nostre azioni e dunque anche il rapporto con il mondo che ci circonda lo saranno, con tutto quello che può conseguirne.

Pirelli Carousel Image

Sølve Sundsbø, nella realizzazione del lavoro, ha dichiarato di avere una ambizione: creare un mondo visivamente inatteso. Ci è riuscito?

È sempre rischioso farsi interprete delle parole altrui, ma ho l’impressione che quando Sundsbø ha parlato di inatteso non intendesse immagini semplicemente insolite, inusitate, strane, anche se il surrealismo rientra senz’altro nel vocabolario del suo lavoro. Le rivelazioni ci sorprendono, infatti, non tanto per la loro bizzarria, quanto per l’esatto opposto: ciò che fino a un attimo prima ci sembrava impossibile, di colpo acquista una sua inattesa normalità.

Qual è secondo lei il filo conduttore del lavoro del fotografo?

Direi la simbiosi. Nel suo lavoro, i corpi sono sempre colti e rappresentati in una fase di grande intimità con l’ambiente circostante, come se non vi fosse distinzione tra i due, come se fossero due parti di un unico essere.

Anche nelle sue foto di moda, l’impressione prevalente è quella: vestiti che non sono più solo stoffa e altri materiali inerti, ma organismi che partecipano alla vita del corpo di chi li indossa. Credo che Sundsbø non veda confini stabiliti tra le cose, tra vivo e non vivo, tra organico e inorganico, tra solido e gassoso e via dicendo. Nelle sue immagini, tutto esiste in un continuo stato di mutua interazione, anche sul piano tecnico, dove la fotografia tradizionale convive spesso con il ricorso alla tecnologia, mescolando digitale e analogico.

“I corpi sono sempre colti e rappresentati in una fase di grande intimità con l’ambiente circostante, come se non vi fosse distinzione tra i due, come se fossero due parti di un unico essere.”

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L'intreccio di questi due strumenti, tecnologia e fotografia, può essere interpretato come lo specchio della società in questo preciso momento storico?

Indubbiamente. La simbiosi è il futuro, oserei dire una strada obbligata. Senza adeguate strategie di convivenza con l'ambiente, una specie è destinata a soccombere, a estinguersi. La nostra tecnologia mette sempre più alla prova le capacità di rigenerarsi della natura. Raggiungere un’ armonia e possibilmente anche una fusione tra noi e il resto è la prova più importante che siamo chiamati a sostenere in quest'epoca. Le donne di Sundsbø incarnano un salto evolutivo, sono creature che non si limitano a coesistere con gli elementi.

Vogliono viverci in simbiosi, diventare loro stesse elementi. Tutto questo è meno fantasioso di quel che potrebbe sembrare. Non è soltanto una visione romantica della natura alla Caspar David Friedrich. È scienza. Pensi al recente libro in cui Carlo Rovelli, un fisico, ragiona sull'eguaglianza di tutte le cose, mostrandoci che "elettroni e mente, sassi e leggi, giudizi e galassie non sono di natura essenzialmente diversa  gli uni dagli altri."

“Raggiungere un’armonia e possibilmente anche una fusione tra noi e il resto è la prova più importante che siamo chiamati a sostenere in quest'epoca. Le donne di Sundsbø incarnano un salto evolutivo, sono creature che non si limitano a coesistere con gli elementi. Vogliono viverci in simbiosi, diventare loro stesse elementi.”

C'è una edizione del passato del Calendario Pirelli che l'ha colpita particolarmente?

Sono molto affezionato a Peter Lindbergh, al suo limpido bianco e nero, per cui mi verrebbe da dire uno dei suoi tre calendari, forse il primo, quello del 1996. Ma alla fine scelgo il primo in assoluto, il calendario di Robert Freeman, il fotografo dei Beatles e della Swinging London cui istintivamente lego il mito del Calendario. Sceglierei inoltre un'immagine in particolare di quell'edizione, quella in cui metà dello scatto è occupata dalla distesa azzurra del mare e in primo piano c'è una spiaggia con lunghe ombre da tardo pomeriggio che si distendono sulla sabbia. La donna, in un normalissimo costume a due pezzi, è al centro dell'inquadratura ma piccola, quasi in lontananza. Sembra più un ricordo che una persona in carne e ossa, come lo è in fondo ogni fotografia, nella sua semplice e lacerante immediatezza.

Quale è il significato del Calendario in questa epoca?

La sua fisicità. E non mi riferisco ai corpi di donna che rappresenta ma alla carta di cui è fatto. Negli anni in cui è nato, che il Calendario fosse un oggetto era un dato scontato, non aggirabile. Col tempo questa fisicità è diventata sempre più un valore aggiunto. In un'epoca in cui anche l'arte tende a smaterializzarsi, diventare virtuale, impalpabile e inodore. Il Calendario è rimasto di carta, un oggetto la cui forma e le dimensioni hanno un loro senso. Non per niente i fotografi non si limitano a creare le immagini ma partecipano anche alla creazione dell'oggetto fisico, che ogni anno è sempre diverso. Credo che il suo segreto consista proprio in questa sua qualità fisica.

"L'esperienza fisica di un'immagine è una parte fondamentale della formazione spirituale di un individuo. Che le immagini siano diventate tanto immateriali non è un bene per nessuno, anzi direi che comporta rischi profondi quali un'accettazione sempre più difficile del proprio corpo o il sottovalutare le conseguenze che un gesto fisico può avere sul prossimo o anche su noi stessi."

Forse in passato era dettato soltanto dal desiderio di confezionare un oggetto raffinato, che si distinguesse dai tanti calendari appesi ai muri anneriti delle officine. Oggi si distingue perché continua a credere che l'elemento tattile di un'immagine debba essere preservato. Sembra una cosa da niente, eppure è una questione centrale che definisce la nostra epoca.

Pensi a quante persone conservano le foto private, i ricordi della loro vita, nella memoria digitale di un telefono, diversamente da un tempo quando quelle stesse immagini venivano raccolte negli album di famiglia. Pensi a quanto erano preziosi e imprescindibili quegli album. Erano in ogni casa e venivano accuditi con rispetto e devozione, qualcosa di simile agli altari degli antenati nelle case giapponesi. L'esperienza fisica di un'immagine è una parte fondamentale della formazione spirituale di un individuo. Che le immagini siano diventate tanto immateriali non è un bene per nessuno, anzi direi che comporta rischi profondi quali un'accettazione sempre più difficile del proprio corpo o il sottovalutare le conseguenze che un gesto fisico può avere sul prossimo o anche su noi stessi.

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Come è cambiata, secondo lei, la percezione della fotografia?

Per dirla con una sola parola, la fotografia si è instagrammatizzata. Con quell'orrendo neologismo contemporaneo che è l'aggettivo instagrammabile abbiamo soppiantato ciò che un tempo definivamo fotogenico. Può sembrare un semplice passaggio di scala, una banale evoluzione mediatica, ma è qualcosa di più, un vero salto evolutivo sul piano sociale e culturale, per non dire economico. Un tempo la fotografia intesa come attività era appannaggio di pochi, di chi conosceva i segreti del mezzo. Oggi non soltanto la tecnica è a disposizione di tutti ma viene usata da tutti con fini che spesso vanno molto oltre la mera cattura di un'immagine. Al tempo dei social media, la fotografia è diventata il mattone con cui ognuno, costruisce la propria identità e siccome a ognuno piace rappresentarsi meglio di come si vede, è diventata anche un mattone di artifici.

Il mondo secondo Instagram ha spesso la consistenza di un castello di carte, il che è al contempo affascinante e inquietante. Per non parlare di come l'intelligenza artificiale sta cambiando la fotografia in ogni suo aspetto. Qualunque giudizio si voglia dare su queste novità, un punto possiamo darlo per certo: la fotografia è oggi un'arena dove si manifesta e decide il destino di una persona. Interrogata sulla questione, la modella e stilista Alexa Chung ha dichiarato: "Sono interessata alla fotografia, come del resto ogni essere umano." Io direi anche di più: che nessun essere umano può permettersi oggi il lusso di ignorare la fotografia.

“Al tempo dei social media, la fotografia è diventata il mattone con cui ognuno, costruisce la propria identità e siccome a ognuno piace rappresentarsi meglio di come si vede, è diventata anche un mattone di artifici.”

L'immagine è divenuta narrazione o lo è sempre stata? 

È una questione complessa. In una certa misura ovviamente lo è sempre stata. A mio avviso però, il vero nocciolo della questione, nonché uno dei pericoli sottovalutati del nostro tempo è quanto la narrazione pervada ogni cosa. Non soltanto le immagini. Ormai si è affermato il principio che tutto vada narrato. Ma non è così.

Si può anche spiegare, mostrare, illustrare o anche semplicemente dire. Invece tutti raccontano, dai politici ai giornalisti. Si sottovaluta che la narrazione così intesa diventa principalmente uno strumento di persuasione. Quelli che oggi vengono chiamati racconti, spesso non sono che propaganda. Sono fermamente convinto che siamo giunti a dare un'importanza eccessiva e fuorviante alle storie. Non sono le storie a cambiare il mondo ma le idee.

Al più una storia può aiutarci a comprendere meglio il senso di un'idea. Le mie immagini ideali - e qui mi concedo un altro bisticcio di parole - sono quelle che esprimono un'idea, non quelle che raccontano.

“Sono fermamente convinto che siamo giunti a dare un'importanza eccessiva e fuorviante alle storie. Non sono le storie a cambiare il mondo ma le idee.”

Sono passati più di sessant'anni dalla prima edizione del Calendario Pirelli. Come è riuscito a sopravvivere questo strumento in un mondo pieno zeppo di immagini?

Direi proprio perché evoca un'idea di mondo, prima ancora che un racconto. L'idea che una serie di foto accompagni lo scorrere del tempo. L'idea che per i circa trenta giorni di cui è fatto un mese vi sia un rettangolo di carta stampata che ospita una sola immagine. Il Calendario Pirelli sopravvive perché vuole sopravvivere. È prima di tutto un atto di volontà. Se i termini di confronto fossero soltanto i cambiamenti del mondo, non resterebbe che consegnarlo al passato, ai ricordi, come infatti è accaduto ai calendari in genere, che non sono più onnipresenti come lo erano un tempo. In un mondo invaso da immagini, il Calendario sopravvive perché crede nell'idea che non tutte le immagini siano uguali e che ve ne siano alcune più degne di persistere nelle nostre retine. Il fascino che esercita il Calendario Pirelli, almeno su di me, risiede appunto nella sua grande fede nella fotografia, nella ricerca dello scatto perfetto che apra uno squarcio, un attimo di dilatato silenzio nel profluvio assordante di immagini che si sommergono.

“Il Calendario sopravvive perché crede nell'idea che non tutte le immagini siano uguali e che ve ne siano alcune più degne di persistere nelle nostre retine.”

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Quale ruolo è affidato dal Calendario alle donne, protagoniste indiscusse della sua storia?

Da quando è stata inventata, la fotografia ha faticato a imporsi come arte. Ancora oggi quando si pensa ai grandi fotografi si tende spesso a privilegiare i fotoreporter o comunque quei fotografi in cui sembra che il mezzo sia a disposizione di qualcosa, come per esempio i fotografi di moda.

Che oggi la fotografia sia un modo di esprimersi che gode di una dignità artistica assimilabile alla pittura o alla scultura lo diamo per scontato, quando invece è stato una conquista. In questo, la fotografia ricorda le battaglie che le donne hanno dovuto ingaggiare per ottenere ciò che oggi appare normale.

"Di fatto ciò che distingue il Calendario è proprio l'idea di chiamare la donna a interpretare un ruolo e pensarsi su un palcoscenico. Non sono semplici pose ma performance, recitazioni. La loro relazione con il fotografo ricorda più quella tra regista e attrice che non quella tra pittore e modella."

Curiosamente l'emancipazione femminile e quella artistica della fotografia hanno proceduto di pari passo, iniziano entrambe nell'Ottocento ed esplodono entrambe negli anni '70 del secolo scorso. Va inoltre ricordato che le donne hanno dato un contributo fondamentale alla trasformazione della fotografia in arte nobile. Basti pensare a Cindy Sherman, Francesca Woodman, Nan Goldin e prima di loro Tina Modotti o Diane Arbus.

Nel Calendario, solo apparentemente la donna è chiamata a svolgere un ruolo di mera modella, musa ispiratrice. Di fatto ciò che distingue il Calendario è proprio l'idea di chiamare la donna a interpretare un ruolo e pensarsi su un palcoscenico. Non sono semplici pose ma performance, recitazioni. La loro relazione con il fotografo ricorda più quella tra regista e attrice che non quella tra pittore e modella.

Protagoniste di questa edizione sono 11 donne affermate, attrici, modelle, campionesse sportive. Come le "racconta" Sølve Sundsbø?

Più che raccontarle, credo le abbia invitate a trasformarsi. Sundsbø ha scelto donne con storie già importanti alle spalle. Non era tuttavia tanto il racconto di quel passato a interessarlo, quanto il loro presente ed eventualmente il futuro. Non c'è niente di banalmente didascalico nel modo in cui queste donne appaiono nel Calendario. Niente che rimandi al tennis nel caso di Venus Williams o alla musica in quello di FKA twigs, per intenderci.

Le loro storie non vengono raccontate ma mostrate in termini di personalità, di carattere. Le vediamo trasformarsi, entrare in dialogo con elementi e forze della natura. Sono chiamate a diventare acqua, fuoco, luce, terra, piante. E non si tratta della solita immagine della donna come Madre Natura. In queste foto - che è poi ciò che è accaduto sul set del Calendario - le donne hanno dovuto confrontarsi con un elemento, un ambiente, un mondo, ed entrarci in armonia. Il risultato è una metamorfosi frutto di un adattamento, di un'evoluzione.Qualcosa che accade da milioni di anni su questo pianeta e probabilmente non solo su questo.

“Le loro storie non vengono raccontate ma mostrate […] le vediamo trasformarsi, entrare in dialogo con elementi e forze della natura. Sono chiamate a diventare acqua, fuoco, luce, terra, piante.”

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Chi è, a suo avviso, il protagonista del Calendario: la donna, il fotografo o le immagini?

Bella domanda e un bel modo per eluderla sarebbe quello di rispondere che non vi è un protagonista, un elemento che prevale sugli altri. Ma non è così o meglio non sarà così se una o più immagini del Calendario dovessero resistere nel tempo. Pensi alla grande arte, alle opere che sono entrate nel mito, all'opera che più di ogni altra è mito. Chi è il protagonista della Gioconda di Leonardo? Monna Lisa, l'artista o la pittura? È evidente che senza Leonardo e il suo dipinto, la Gioconda non esisterebbe, ma di fatto ciò che tutti guardano è quel volto di donna e il suo sorriso. La gran parte delle persone ha infatti un'idea vaga o imprecisa di chi era Leonardo e spesso pensa a lui più come a un visionario scienziato, quasi che dipingere fosse per lui una specie di hobby. Allo stesso modo i visitatori del Louvre osservano molto distrattamente le tante opere custodite nel Louvre. I loro occhi sotto tutti per lei, la Gioconda, tanto che per molte persone il Louvre è soprattutto se non unicamente il museo della Gioconda. Quando raggiungono il loro scopo, arte e artista vengono fagocitati da ciò che resta, diventando un tutt'uno con quello che gli occhi vedono. Mi auguro quindi, anzi auguro al Calendario che alla lunga il protagonista si riveli essere la donna.

Quale è il suo rapporto con la fotografia?

La fotografia è per me una macchina del pensiero, un oggetto di riflessione continua, una fonte di spunti inesauribile. Sono un pessimo fotografo ma un grande pensatore fotografico.